Vaccino Astrazeneca. Alla fine anche in ambienti EMA si ammette la relazione tra trombosi e vaccino
di Francesco Bottaccioli
Nei prossimi giorni è attesa una ulteriore messa a punto da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) sulla vicenda Astrazeneca, ma già abbiamo avuto una anticipazione alla stampa italiana da parte di Marco Cavaleri, responsabile della strategia sui vaccini di Ema, che così ha dichiarato al Messaggero: “ormai possiamo dirlo, è chiaro che c’è un’associazione tra i casi di trombosi e il vaccino. Cosa causi questa reazione, però, ancora non lo sappiamo”. Questa affermazione che, per noi, come sanno chi ci segue, è scontata, anche se è stata vigorosamente negata dallo stesso Cavaleri e dalle autorità sanitarie in tutte le sedi, fa seguito alla recente pubblicazione, sempre da parte dell’EMA, di un ampio documento dedicato alla relazione tra rari casi di trombosi e il vaccino Astrazeneca. https://www.ema.europa.eu/en/documents/prac-recommendation/signal-assessment-report-embolic-thrombotic-events-smq-covid-19-vaccine-chadox1-s-recombinant-covid_en.pdf
In questo testo si dicono alcune verità importanti: 1) non è vero che i casi di trombosi siano pochissimi; le segnalazioni in relazione al vaccino sono state 269, di cui 40 con esito fatale; 2) non è vero che nel Regno Unito gli eventi di questo tipo siano stati numericamente trascurabili: i casi, sempre secondo il documento ufficiale di EMA, sono stati 246. Facendo un rapido calcolo, se gli inglesi hanno somministrato 18 milioni di dosi, l’incidenza di episodi trombotici è stata di 1 su circa 73.000 dosi, non 1 su un milione come hanno straparlato giornalisti ed esperti; 3) sarebbe utile provare a prevenire questi eventi che, pur rari, danneggiano fortemente le persone fino all’esito estremo.
Questo è il punto centrale. Come sa chi ci segue, nel nostro libro “Nutrire l’immunità contro Covid-19” e in articoli e post, abbiamo segnalato che, posto che il rischio zero non esiste e che il vaccino anti-Sars-CoV-2 è uno strumento fondamentale nella lotta alla pandemia, è doveroso ed è possibile impegnarsi per ridurre al minimo il rischio di eventi avversi gravi e letali con opportune indagini ematochimiche e valutando attentamente la storia clinica della persona che riceve Astrazeneca. Adesso EMA, nel suo documento, dedica un paragrafo ai “fattori di rischio”, dove elenca i seguenti fattori di rischio: donna di giovane età, che assume pillola antifecondativa o che potrebbe avere anomalie nei fattori della coagulazione e quindi segnala che sarebbe utile indagare i livelli delle piastrine, del fibrinogeno, il tempo di protrombina, il d-dimero, ma anche i livelli di vitamina D e di magnesio. In questo documento si mette in guardia anche dalla presenza di autoimmunità soprattutto autoanticorpale. Insomma, la strada è quella di proteggere il gregge e anche la pecora. Gli strumenti e le conoscenze scientifiche ci sono: il rischio zero non esiste, ma non fare niente per abbassare il rischio al minimo possibile è imperdonabile (per non dire altro). Vedremo se EMA seguirà fino in fondo questa strada, ragionevole, scientifica, praticabile o se si piegherà ancora una volta alla “ragion di Stato”: vaccinare, vaccinare, vaccinare, e chi muore muore. ECONOMIA FIRST!