L’incongruenza di genere è un fenomeno in rapida crescita a livello internazionale. Non sono ancora del tutto chiare le cause dell’impennata, che a partire dal secondo decennio del secolo presente sta interessando i servizi sanitari dei principali Paesi europei e nordamericani. È comunque fuori dubbio che la disponibilità di terapie mediche efficaci per la transizione di genere e anche una opinione pubblica più sensibile al riconoscimento delle diversità hanno giocato un ruolo.
In anni recenti è cambiata la popolazione di riferimento. Infatti, mentre nei primi anni del secolo attuale, i soggetti che chiedevano aiuto per la transizione di genere erano giovani che, da lungo tempo, cioè fin dai primi anni di vita, avevano manifestato una disforia di genere, adesso sono soprattutto giovani in età pubere e adolescenziale che fanno ricorso ai servizi specialistici (età 12- 15 anni). Inoltre, mentre in passato erano in netta maggioranza giovani maschi alla nascita, adesso è nettamente preponderante il numero di femmine alla nascita che chiede la transizione. Le nuove caratteristiche della popolazione che domanda la transizione sta ponendo nuovi e seri problemi di orientamento scientifico e clinico che sono ben visibili nel dibattito, anche aspro, presente nella letteratura scientifica internazionale. Riassumiamo in estrema sintesi
i punti controversi esprimendo la opinione della SIPNEI al riguardo.
1. La disforia di genere, soprattutto se si presenta in età adolescenziale, può essere connessa a disturbi (depressione ansia) o a sofferenza psicologica connessi a fattori di carattere sociale, tipici di un’età di transizione, che vanno indagati a fondo. Per questo, alcuni autori criticano un modello di assessment poco approfondito e di tipo prettamente medico. Va invece affermato un assessment di tipo biopsicosociale, in cui lo specialista psi (psicologo dello sviluppo, neuropsichiatra infantile) svolga un ruolo centrale. Noi condividiamo questo approccio e segnaliamo al riguardo una Tabella
con dettagliate indicazioni in Turban et al. 2024 www.jaacap.org.
2. La procedura medica standard, inaugurata da specialistici danesi (Dutch Model) a cavallo del secolo, comprendeva i seguenti passaggi a cascata: a) blocco della pubertà, con farmaci agonisti del Gn-RH, attorno ai 10-12 anni (stadio 2 di Tanner, prima fase della pubertà): b) trattamento ormonale affermativo del sesso (dopo i 16 anni); c) chirurgia dopo i 18 anni. Il fatto che adesso l’età media del blocco della pubertà sia di 15 anni crea evidenti problemi perché interviene bloccando un processo già in atto obbligando l’organismo a una pausa endocrina in attesa di un suo sovvertimento (da dominanza estrogenica a testosteronica e viceversa). La pausa può essere anche lunga (alcuni anni) che potrebbe anche peggiorare la disforia in adolescenti con un sesso incerto, ma soprattutto non sono noti gli effetti sull’insieme dell’organismo, cervello incluso, che è sensibile, fin dalle prime fasi della vita agli ormoni sessuali. Per la scienza endocrinologica la pubertà ad oggi resta un grande mistero, nel senso che non sono noti i meccanismi principali che la innescano (Jameson, De Groot (eds.) Endocrinology Adult and Pediatric, 7th ed. Elsevier). Tuttavia, è chiaro che questo programma genetico della specie svolge un ruolo cruciale non solo per la riproduzione ma anche per la maturazione psicofisica dell’organismo. Per questo, secondo alcuni autori – e noi condividiamo questo approccio – il blocco della pubertà non dovrebbe essere una procedura di default, ma attentamente valutata su base individuale e anche in base al sesso di origine. Ma soprattutto valutata nel quadro di una presa in carico davvero integrata e multidisciplinare.
3. Alcuni autori (H. Cass, 2024) segnalano una carenza grave nella ricerca delle evidenze di efficacia su interventi di supporto e di intervento psicologico. Siamo dell’opinione che, soprattutto in questi delicati e complessi casi che decidono la vita di una persona, le scienze psicologiche debbano svolgere un ruolo centrale, con l’obiettivo di aiutare il giovane e la famiglia a gestire in consapevolezza un percorso che non si conclude con l’eventuale trattamento endocrino e chirurgico, anche perché la disforia potrebbe proseguire, come documentano alcuni studi. Mettere in primo piano il lavoro dello specialista psi va di pari passo, nel nostro orientamento, al rifiuto netto di ogni ideologia “riparativa” antiscientifica e colpevolizzante, così come l’abbiamo vista all’opera nei decenni scorsi verso l’omosessualità. La sofferenza causata dalla incongruenza di genere va pienamente accolta e le scienze, medica e psicologica insieme, hanno l’obbligo di fornire tutte le risorse, farmacologiche, psicologiche e sociali, di cui dispongono e che possono sollecitare, per garantire ad ogni giovane di realizzare il proprio progetto di vita, che include l’allineamento di genere.
Francesco Bottaccioli, Fondatore e presidente onorario SIPNEI
Mauro Bologna, Presidente SIPNEI
Con l’approvazione di tutto il Consiglio Direttivo Nazionale
Roma, 23.04.24