COVID-19. PERCHE’ L’ECCESSO DI MORTALITA’ AL NORD ITALIA ?

pubb. giovedì, 17 Dicembre, 2020
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L’INQUINAMENTO DELL’ARIA DANNEGGIA NON SOLO I POLMONI MA ANCHE IL SANGUE (TROMBOSI). UN FATTORE NON PRESO IN CONSIDERAZIONE, MA CHE PUO’ CONTRIBUIRE A SPIEGARE L’ ECCESSO DI MORTALITA’ DA COVID NEL NORD ITALIA

di Francesco Bottaccioli

È noto che l’Italia presenta un tasso di letalità da COVID-19 tra i più alti a livello internazionale. Le risposte date dai tecnici, governativi e non, interpellati a più riprese, dicono una mezza verità: la popolazione anziana e lo stato del servizio sanitario. Fattori reali entrambi, cui però occorrerebbe aggiungere due specificazioni:  1) gli italiani vivono di più di altri europei, ma sono imbottiti di medicine e quindi sono fragili; 2) il servizio sanitario territoriale fa pena, quello ospedaliero è pieno di pezze a colore: vedremo il piano di riorganizzazione generale che proporrà il Governo, ma intanto, per decenza, non sarebbe male che i responsabili viventi del massacro del servizio sanitario negli ultimi decenni (Berlusconi e Lorenzin innanzitutto) chiedessero pubblicamente scusa e si astenessero dal commentare i problemi sanitari dell’oggi. Tuttavia i due fattori detti non spiegano tutta la storia dell’eccesso di mortalità, che si è verificata e si verifica soprattutto nel nord del Paese: il tasso di letalità medio italiano è 3,5%, quello lombardo è del 5,4%, ma anche il Piemonte, la Val d’Aosta, le province emiliane sono sopra la media. Perché?

Nel libro sul COVID che Anna Giulia Bottaccioli e io stiamo scrivendo per l’editore Edra, la cui uscita è prevista per febbraio prossimo, analizziamo in dettaglio il ruolo dell’inquinamento dell’aria. Basta vedere la cartina per cogliere al volo che la pianura padana è tra le regioni più inquinate d’Europa, se non la più inquinata. Gli inquinanti aerei, come il particolato (PM), il biossido di azoto e altri producono una segnatura epigenetica infiammatoria nelle cellule immunitarie della mucosa respiratoria e che risiedono negli alveoli polmonari (macrofagi). Queste cellule cronicamente infiammate, di fronte all’infezione virale, risponderanno con un eccesso di infiammazione sterile, cioè incapace di liquidare il virus e capace invece di danneggiare l’organismo con una tempesta di citochine. Gli effetti, però, non si limitano all’apparato re­spiratorio: le particelle sottili causano trombosi venosa profonda. Uno dei primi studi ben fatti sugli effetti sistemici dell’aria inquinata è italiano. Risale al 2008 ed è stato realizzato da un gruppo interuniversitario guidato da Andrea Baccarelli, della Harvard Scho­ol of Public Health di Boston, e pubblicato su Archives of Internal Medicine: ha dimostrato che l’inquinamento da polveri sottili, le PM10, PM2,5 e ultrasottili, è causa di un notevole incremento del rischio di trombosi venosa profonda alle gambe (Baccarelli, Martinelli, Zanobetti et al. 2008). Lo studio è stato realizzato per l’appunto in Lombardia e ha monitorato più di 2000 persone: 900 con trombosi venosa profonda e 1200 controlli. Dalle indagini è emersa una relazione lineare tra aumento della concentrazione di PM10 e trombosi venosa profon­da; inoltre si è rilevato che, per ogni aumento di 10 μg di particolato fine per metro cubo d’aria, si ha un aumento del 70% del rischio di trombosi. Lo stesso gruppo di ricercatori ha replicato lo studio negli Stati Uniti ottenendo lo stesso risultato. Ora, poiché è noto che in una buona parte di persone che sviluppano la forma grave, spesso mortale, della COVID-19, si genera una coagulopatia con trombi di varie dimensioni nei vasi arteriosi e venosi, sarebbe il caso di inserire l’inquinamento ambientale come primario fattore patogenetico, che contribuisce a spiegare l’eccesso di mortalità da COVID-19 nelle regioni del nord Italia. Certo, per l’aria inquinata non c’è un vaccino. Servirebbe cambiare la testa della politica, dell’industria e della cultura dominante.

Conferma iscrizione 37

PS La foto è ripresa dal satellite Copernicus nel 2019 ed è della Agenzia Europea per l’Ambiente





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