Vitamina D utile contro Covid-19, ma AIFA ne ha ristretto l’uso ed è pure contenta

pubb. venerdì, 22 Gennaio, 2021


di Francesco Bottaccioli

Da tempo sapevamo che la vitamina D svolge un ruolo importante nella modulazione del sistema immunitario, intervenendo in numerosi meccanismi di regolazione della risposta infiammatoria. La carenza di vitamina D incrementa la suscettibilità alle infezioni del tratto respiratorio, incluse le polmoniti comunitarie e la severità clinica di molte malattie infettive, nonché di quelle autoimmunitarie. Nel libro scritto con Anna Giulia Bottaccioli “Nutrire l’immunità contro Covid-19”, di prossima pubblicazione, segnaliamo studi recenti che documentano che un’adeguata supplementazione orale di vitamina D risulta  anche essere protettiva nei confronti delle infezioni virali; per esempio è stato visto che incrementa la resistenza immunitaria contro il virus Dengue, il virus respiratorio sinciziale, nonché riduce l’espressione di molecole infiammatorie indotte dal virus influenza H9N2. Un ampio documento del National Institute (NHS) inglese del gennaio 2019 documenta che la supplementazione di vitamina D può essere utile per prevenire le infezioni respiratorie acute.

La settimana scorsa è stato pubblicato uno studio della medicina interna dell’Università di Padova, che documenta che pazienti ricoverati per Covid-19, con bassi livelli di vitamina D nel sangue (meno di 20 ng/mL), cui sono stati somministrati per due giorni consecutivi alti dosaggi di vitamina D, hanno avuto risultati migliore dei controlli in termini di mortalità e di necessità di ricovero in terapia intensiva. Giannini, S.; Passeri, et al. Effectiveness of In-Hospital Cholecalciferol Use on Clinical Outcomes in Comorbid COVID-19 Patients: A Hypothesis-Generating Study. Nutrients 2021, 13, 219. https://doi.org/.

Ma ci sono anche altri studi che vanno in questa direzione riassunti e commentati da Maurizio Cutolo, direttore del dipartimento di medicina interna dell’Università di Genova e ricercatore di fama internazionale. L’immagine, ripresa dal suo editoriale, segnala gli effetti antinfiammatori e di incremento delle difese della vitamina D contro le infezioni respiratorie. Cutolo M, Paolino S, Smith V. Evidences for a protective role of vitamin D in COVID-19. RMD Open. 2020 Dec;6(3):e001454. doi: 10.1136/rmdopen-2020-001454. PMID: 33372031; PMCID: PMC7771215.

Il fatto paradossale è che l’AIFA (Agenzia del farmaco) dal novembre 2019 ha ristretto la prescrizione della vitamina D ai soli casi di patologie ossee (osteomalacia, osteoporosi) e alla gravidanza allattamento, oppure in caso di “deficit della vitamina”. Il deficit è indicato sotto 20 ng/mL, ma, e qui sta il paradosso dei paradossi, l’AIFA sconsiglia il dosaggio della vitamina nella popolazione. Quindi, come farebbe il medico a sapere se il suo paziente è in deficit di vitamina D se l’agenzia governativa ne sconsiglia il dosaggio? Ma c’è di più. AIFA, oltre a sostenere, senza prove aggiornate, che non ci sono studi che documentino l’utilità della vitamina D al di fuori delle patologie ossee, dichiara che effettivamente il “range desiderabile” dei livelli di D nel sangue dovrebbe essere tra i 20 e i 40 ng/mL. Però ha messo in atto restrizioni che impediscono di raggiungere quel livello, cui la grande maggioranza della popolazione non arriva senza supplementazione. Ed è giunta pure a dichiarare, il mese scorso, la propria soddisfazione per il provvedimento di restrizione che ha ridotto di un terzo la spesa per la vitamina D tra i quaranta-cinquantenni, soprattutto donne. Complimenti AIFA. In piena pandemia da virus respiratorio siamo in ottime mani.





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