Nuovi farmaci per la demenza: ancora molta la strada da fare

pubb. sabato, 21 Ottobre, 2023


I nuovi farmaci per la demenza: ancora molta la strada da fare

 di Mauro Bologna

 

Aducanumab, Crezenumab, Donanebumab, Gantenerumab, Lecanemab, Solanezumab: sono numerosi i farmaci costituiti da differenti anticorpi monoclonali diretti contro determinanti antigenici della proteina beta-amiloide cerebrale, i cui accumuli caratterizzano la malattia che chiamiamo Demenza di Alzheimer (DA).

L’utilizzo di tali farmaci “ripulisce” i depositi di beta amiloide precipitata nel tessuto cerebrale, ed in vario modo rallenta la comparsa o l’aggravamento dei sintomi dei malati con demenza, ma gli effetti sono notevolmente variabili in vari gruppi di soggetti malati, sicché il loro successo risulta al momento decisamente variabile.

Sono almeno trent’anni che si tenta di applicare la strategia della rimozione dei precipitati proteici cerebrali, che sviluppano anche una reazione infiammatoria,  che contribuisce al declino cognitivo, ma anche con l’adozione degli anticorpi monoclonali specifici non si è ancora riusciti a rallentare in modo netto la progressione dei sintomi e del declino cognitivo dei sogggetti colpiti da DA.

In luglio scorso (e ne avevamo subito dato notizia su queste pagine) il Lecanemab (in commercio con il nome di Lequembi) aveva ricevuto approvazione dalla FDA americana (Food and Drug Administration) come rimedio efficace nella terapia della Demenza di Alzheimer.

Le varie sperimentazioni cliniche in corso, tuttavia, non sembrano ancora indicare con chiarezza quali siano le caratteristiche di partenza dei pazienti che consentirebbero di prevedere una buona risposta al trattamento. Le prime evidenze infatti sembrerebbero indicare scarsi benefici nei soggetti d’età inferiore ai 65 anni e nelle donne: mentre le donne rappresentano circa il doppio dei casi di DA rispetto agli uomini. Sicché le sperimentazioni svolte finora (non randomizzato) sono scarsamente indicative, mentre alcuni studiosi affermano responsabilmente che “senza randomizzazione non impareremo nulla sull’argomento”.

Altro problema è rappresentato dal riscontro di Amyloid-Related Imaging Abnormalities (ARIAs), che corrispondono a micro-emorragie riscontrabili nei modelli di DA in topi trattati con anticorpi monoclonali anti beta-amiloide. Le evidenze cliniche di ARIAs corrispondono probabilmente a complicanze potenzialmente fatali delle terapie amiloido-rimuoventi realizzabili mediante gli anticorpi monoclonali. Effettivamente, alcuni casi di emorragia cerebrale rilevante e talvolta letale sono stati osservati in soggetti trattati con questa classe di farmaci. E l’evenienza i ARIAs dipende dalle zone cerebrali coinvolte, sicché microemorragie nei lobi frontali potranno manifestarsi sotto forma di sintomi confusionali, mentre microemorragie nei lobi occipitali potranno manifestarsi fotto forma di sintomi visivi. Ciò per lo stesso meccanismo per cui i soggetti colpiti da ictus non manifestano tutti la medesima sintomatologia.

In buona sintesi, in ragione della complessità del trattamento, soltanto una piccola percentuale dei soggetti con AD potrà ricevere tali farmaci, anche perché occorre un team multidisciplinare per somministrare i preparati a base di anticorpi monoclonali, un team clinico che possa comprendere un neurologo comportamentale (capace di distinguere un decadimento cognitivo lieve da una forma di depressione) un neuropsicologo (che interpreti i test cognitivi e pota la diagnosi corretta) un neuroradiologo (che individui le eventuali evidenze di microemorragie pre-trattamento e quelle post-trattamento) ed un assistente sociale che aiuti nella gestione delle problematiche finanziarie connesse. Tutta la complessità inoltre sconsiglierà il trattamento di pazienti che risiedano lontano dalla struttura clinica di riferimento, ove ci fossero problematiche di urgenza scaturite durante il trattamento stesso.

Siamo dunque di fronte ad una problematica clinica davvero complessa, che i nuovi farmaci non sembrano poter risolvere magicamente. Ma ulteriori sviluppi di ricerca non mancheranno in questo campo di notevolissima importanze in una società caratterizzata da un crescente grado di invecchiamento e di prevalenza di AD.

 

Riferimento

 

Rubin, R.: Who Should -and can- Get Lecanemab, the New Alzheimer Disease drug ?  JAMA online, September 27, 2023





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